Nasce il diritto amministrativo dell'informatica: luci e ombre sul Codice
dell'amministrazione digitale
Circa un mese fa, in occasione di un recente convegno diretto a Cagliari dal Prof. Giovanni Duni, un
componente dell'ufficio legislativo del ministro Stanca, delineando i tratti
essenziali del codice dell'amministrazione digitale, affermava: "se questo
decreto legislativo verrà approvato, il buon andamento dell'azione
amministrativa dovrà essere innanzitutto perseguito attraverso l'utilizzo
delle nuove tecnologie".
Ed in effetti, ad una prima lettura dello schema di decreto legislativo è
confermata la sensazione del fortissimo impatto che questo provvedimento potrà
avere nella attività della amministrazione pubblica italiana, ed in particolare
nel suo rapporto con il cittadino e l'impresa.
Ma una norma "codicistica", di principio, non soltanto godrà dei favori di
tecnici e giuristi, che certamente merita. Essa presta inevitabilmente il fianco
a numerose osservazioni critiche.
Iniziamo la nostra analisi da alcune precisazioni su origini e natura di
questo codice. Si tratta della attuazione di una delle deleghe di riassetto
normativo contenute nella legge 29 luglio 2003,
n. 229 (legge di semplificazione 2001), la stessa legge, peraltro,
contenente all'art. 7 la delega al Governo per l'adozione di un altro
codice, che molto farà discutere nelle prossime settimane: il "Codice dei
consumatori", approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 28
ottobre scorso.
Ma torniamo al codice dell'informatica amministrativa. L'art. 10 della
suddetta legge 229/03 sanciva che il Governo avrebbe dovuto adottare "uno o
più decreti legislativi su proposta del Ministro per l'innovazione e le
tecnologie e dei ministri competenti per materia, per il coordinamento ed il
riassetto delle norme in materia di società dell'informazione", decreti
aventi ad oggetto, in particolare, "il documento informatico, la firma
elettronica e la firma digitale; i procedimenti amministrativi informatici; le
modalità di accesso informatico ai documenti e alle banche dati di competenza
delle amministrazioni".
Posto ciò, con riferimento al suo inquadramento nella gerarchia delle fonti, ci troviamo di fronte ad una norma di natura legislativa, in cui da
un lato rifluiranno le norme legislative del testo unico sulla
documentazione amministrativa relative al documento informatico ed ai sistemi di gestione informatica dei documenti (Capi II e IV, DPR 445/2000),
dall'altro lato le norme regolamentari che il legislatore riterrà degne del rango primario. Saranno, invece, abrogate tutte quelle norme che potranno
essere poi riproposte in semplici decreti ministeriali.
E' questa una nuova tecnica legislativa, totalmente diversa da quella
utilizzata dal 1997 dalle leggi "Bassanini", e poi seguita nelle successive
fasi di semplificazione della attività amministrativa. Non vi è più una legge
che fissa i principi generali, ed un gran numero - a dirla tutta, troppo
grande - di decreti legislativi e regolamenti di attuazione (ne costituisce un
esempio il DPR 513/97 in materia di documento informatico e firma digitale),
adottati ex artt. 14 e 17, legge 400/88, e pertanto caratterizzati da complesse
procedure di adozione che vedono come protagonisti numerosi attori, quali il
Consiglio di Stato e la Conferenza Stato-Regioni.
Il nuovo schema legislativo prevede una legge che si limita a delegare il
riassetto dei principi per materia; un unico decreto delegato che fissa tali
principi, ovviamente soltanto con norme di natura legislativa, non regolamentare
(ed in questo il Codice si distingue nettamente anche dal DPR 445/2000); una
serie di Decreti del Ministro competente che pongono le regole tecniche ed
applicative. Ed in effetti il Decreto Ministeriale è uno strumento estremamente
elastico, velocemente adottabile e altrettanto velocemente sostituibile, che
peraltro ben si adegua alla velocità dell'evoluzione tecnologica, che
inevitabilmente condizionerà l'applicazione concreta dei principi del Codice de
quo.
Qualche ombra, che dovrà essere dissolta dal Governo, sulla inevitabile
necessità di adottare, in una fascia intermedia, alcuni regolamenti attuativi.
Bisognerà, infatti, capire meglio in quali materie, e di che entità saranno i
ritardi di cogenza del Codice che ne deriveranno.
Veniamo adesso a una breve analisi di alcune norme di principio, contenute
nel Capo I.
Il nostro ordinamento già riconosceva validità e rilevanza giuridica alla
attività amministrativa in forma elettronica e le dirompenti conseguenze che
tale riconoscimento avrebbe determinato (vedi, in particolare, art. 9, DPR
445/2000; art. 22, comma 2, legge 241/90; TAR Lazio, III-Ter, 8 marzo 2004, n.
2159; su questi aspetti si rinvia ad ulteriore specifico approfondimento che
verrà pubblicato nei prossimi numeri).
Oggi, però le preesistenti statuizioni normative e giurisprudenziali vengono
rilette, raccolte insieme e riaffermate con forza dal codice dell'amministrazione
digitale, ma in un'ottica nuova, molto più consapevole, con il chiaro intento
di dare organicità e sistematicità ad una materia a cui ancora non era stata
riconosciuta una identità propria. In definitiva, siamo di fronte alla nascita
di una legislazione specifica in materia di diritto amministrativo e nuove
tecnologie, una legislazione che, peraltro, viene alla luce con una serie di
norme "cardine", programmatiche e di principio, che costruiscono - e
costituiranno - le fondamenta di ogni modifica o innovazione. Fondamenta,
peraltro, che da un lato trovano ispirazione nei più generali principi di
democrazia e partecipazione della nostra Repubblica, e dall'altro acquisiscono
dignità di strumenti primari per il perseguimento degli obiettivi della
pubblica amministrazione: efficacia, efficienza, economicità, trasparenza,
semplificazione.
La disposizione che più di tutte manifesta l'intento programmatico ed
informatore di questo nuovo codice è senza dubbio l'art. 3, che - ci pare proprio il caso di
riportarla per intero - statuisce: "I cittadini e le imprese hanno diritto a
richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie dell'informazione e della
comunicazione nei rapporti con le pubbliche amministrazioni centrali e con i
gestori di pubblici servizi statali nei limiti di quanto previsto nel presente
decreto", così definendo un nuovo diritto soggettivo, definito in rubrica "diritto
all'uso delle tecnologie".
Una previsione dirompente, che indirettamente istituirebbe un vero e proprio
controllo giurisdizionale sull'uso del ICT da parte delle amministrazioni,
ovviamente nei limiti di quanto previsto dal codice stesso, e semprecchè venga
riconosciuta a tali norme la natura di norme di relazione, e quindi la loro
applicabilità diretta ai rapporti tra cittadino ed amministrazione (ma anche su
questo si rinvia ad un prossimo commento ad hoc).
L'art. 7 riempie di contenuto tale posizione giuridica, rendendola concreta
ed attuale indipendentemente dalla applicazioni di specifici istituti
codicistici; il diritto all'uso delle tecnologie potrebbe, infatti,
considerarsi azionabile in qualsiasi momento, essendo sufficiente che le
pubbliche amministrazioni centrali non provvedano periodicamente alla
riorganizzazione ed all'aggiornamento dei servizi resi, o non sviluppino l'uso
dell'ICT sulla base di una preventiva analisi delle reali esigenze dei
cittadini e delle imprese.
Si tratti di disposizioni che, a prima vista, confermerebbero lo squilibrio
che negli ultimi anni ha visto l'informatizzazione della pubblica
amministrazione non con come mezzo, ma come fine, vetrina per amministratori e
politici in carriera. In realtà non è così. Anzi. Il provvedimento opera un
rafforzamento ed una sistematizzazione giuridica dei processi di
digitalizzazione, ma tenendo sempre presenti le finalità tradizionali della
attività amministrativa, ed in particolare del procedimento amministrativo,
sancite fin dalla legge 241. Ne è conferma l'articolo 10, che chiude il cerchio,
riconducendo ed inglobando tale nuovo diritto nell'alveo delle finalità
tradizionali dell'agire pubblico: "le pubbliche amministrazioni utilizzano
le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per la realizzazione
degli obiettivi di efficienza, efficacia, economicità, imparzialità,
trasparenza e semplificazione".
Altri due articoli vanno, a nostro avviso, citati prima di altri in questa
sede, in quanto tradiscono il ruolo cruciale di due momenti applicativi di
questo nuovo codice: l'art. 4, relativo
all'informatizzazione del procedimento amministrativo, e l'art. 6, sulla posta elettronica certificata,
come strumento tecnico e giuridico (entrambi debitamente approfonditi nei
prossimi numeri).
Certamente qualcuno storcerà il naso di fronte a statuizioni che meglio
sarebbero state contenute in un testo costituzionale, come, ad esempio, l'articolo
10, comma 4 (La Repubblica promuove la realizzazione e l'utilizzo di reti
telematiche come strumento di interazione tra le pubbliche amministrazioni ed i
privati), disposizioni che, aldilà dell'indubbio valore sistematico e
programmatico, di cui è peraltro vestito l'intero impianto del codice, in
concreto determineranno disagi e perplessità, ed in particolare per molti
legislatori regionali, perplessità che presumibilmente si tramuteranno in
impugnazioni alla Corte costituzionale per eccesso di delega.
Sopra tutte, la Regione Toscana che, forte della sua legge
n. 1 del 26 gennaio 2004, anch'essa di natura programmatica e di
principio, si troverà, non senza difficoltà, a dover coordinare la propria
norma con l'emanando codice. E forse proprio questo "scontro costituzionale"
fornirà alla Corte costituzionale la migliore occasione per riempire di
significato la famosa lettera r, dell'art. 117, comma 2, della Costituzione.
In conclusione, ciò che al momento ci pare abbastanza prevedibile è che all'indomani
della sua entrata in vigore, il codice - se verrà mantenuto il testo attuale
- frequenterà da protagonista le aule della Consulta, con non indifferenti, ed
imprevedibili, dilazioni della sua concreta applicazione.
(Continua sul n. 305)
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